Apple ha deciso di far infuriare i propri utenti e dar del filo da torcere agli sviluppatori di app: spunta una tassa.
Per capire cosa sta succedendo è d’obbligo un passo indietro. A partire dal prossimo marzo, dopo sedici anni, l’App Store della Apple non potrà più essere l’unico modo a disposizione degli utenti per scaricare installare applicazioni su iPhone e iPad. La nuova imposizione è scattata in Europa con il Digital Markets Act (DMA). La normativa europea pensata dai legislatori per garantire mercati digitali equi e aperti ha dunque imposto ad Apple tale apertura.
Ma la Apple ha deciso di rispondere. Dopo aver annunciato l’arrivo del sideloading per le applicazioni, con la possibilità di utilizzare motori di ricerca e store alternativi a Webkit, ci sono novità non proprio positive in arrivo con iOS 17.4 e iPadOS 17.4. E qui la faccenda diventa spinosa.
Pur permettendo di scaricare app sugli store alternativi a quello ufficiale, Apple potrebbe infatti penalizzare gli utenti che “tradiscono” la casa madre. In pratica, chi non scarica le app dallo store della Apple rischierà di pagare un costo più alto derivante da una tassa su ogni download.
Ecco com’è nata e come funziona la nuova iniziativa della Apple che ha già scatenato numerose critiche da parte degli utenti e di molti sviluppatori di app. Gli sviluppatori che scelgono di aderire ai nuovi termini commerciali imposti dalla Apple dovranno infatti pagare una “Core Technology Fee” o CTF da 0,50 euro per ogni installazione di app superiore a un milione di download.
Tale sistema, a detta dei critici, potrebbe rischiare di mandare in bancarotta in pochi mesi gli sviluppatori di app gratuite o freemium. E non solo: costringendo gli sviluppatori a pagare questa tassa per proporre le loro app gratuite, inevitabilmente l’offerta di applicazioni a costo zero su Apple scemerà penalizzando gli utenti.
Apple: la nuova tassa che spaventa gli sviluppatori di app
Pur attivandosi per venire incontro alle prescrizioni del DMA europeo, Apple ha in pratica scelto di fare la voce grossa e introduce una tassazione extra, che di base vale per tutte le applicazioni, comprese quelle gratuite, scaricate da store alternativi al suo.
Tutti gli sviluppatori sono dunque posti dinanzi a un bivio: continuare a distribuire le loro app solo sull’App Store (accettando di pagare ad Apple una commissione sulle vendite) oppure scegliere store alternativi pagando una tassa che scatta oltre il milioni di download.
Apple non addebiterà ogni anno i costi della tassazione dopo il primo milione di download, ma presenterebbe il conto dal secondo anno in poi. Quindi un’app gratuita o freemium che diventa “virale” e viene scaricata più di un milione di volte potrebbe essere costretta a pagare tariffe astronomiche.
Secondo i primi calcoli, un’app gratuita che ottiene due milioni di “prime installazioni” annuali dovrebbe dover pagare più di 45.000 dollari di commissioni al mese. Cioè più di mezzo milione di dollari all’anno. Chiaramente si tratta di un modello insostenibile per le app gratuite. Ecco perché si parla di un ricatto.
Contemporaneamente, però, la Apple vuole ridurre le commissioni per la vendita di app mediante App Store. La percentuale scenderà al 17% e al 10% per le piccole imprese con un reddito annuo inferiore a un milione di dollari.